22 febbraio
Genio e sregolatezza
C’è chi lo ha definito «il Jimi Hendrix del violoncello», accostando il suo curriculum classico a uno degli artisti più virtuosi e maledetti della storia del rock; ma per Giovanni Sollima (Palermo, 1962) la musica, per definizione, non conosce né generi né confini. Concertista e compositore, nelle sue scorribande creative si incontrano (e si scontrano) infatti tradizione colta e jazz, minimalismo e progressive, pop e folk, ripercorsi a cavallo del suo violoncello, preziosa eredità della grande scuola liutaria cremonese del Seicento. Lui lo considerà però un semplice “mezzo”, uno strumento, appunto, per esprimersi in totale libertà: «È la sua stessa forma, la sua possibilità di diventare viola o violino, di piangere, ridere, urlare… mi permette di viaggiare su e giù per la tastiera oppure di fermarmi su una nota e concentrarmi su un dettaglio, sulla molecola dello stesso suono: è una sorta di strumento-sonda, attraverso il quale indago su altre sonorità o parentele lontane con altri strumenti o vocalità». Le sue composizioni sono state interpretate da direttori come Riccardo Muti e solisti come Yo-Yo Ma, hanno accompagnato le coreografie di Carolyn Carlson e gli spettacoli di Bob Wilson, le performance teatrali di Alessandro Baricco e quelle cinematografiche di Peter Greenaway, ma sono anche risuonate nei concerti di Elisa e Franco Battiato. Tra omaggi musicali a Dante e a Caravaggio, l’album Works rappresenta così una sorta di “progetto/compilation” che raccoglie dodici brani scritti fra il 2000 e il 2004, diversi per stile, ispirazione e linguaggio: un cantiere ancora aperto, perché, come sostiene lo stesso Sollima, il suo è il viaggio di un artigiano curioso, in perenne ricerca, proiettato verso un futuro assolutamente imprevedibile.